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Il bambino non parla ancora, perché? | Faropediatrico

Generalmente lo sviluppo fonologico, cioè lo sviluppo del linguaggio, nel bambino segue delle tappe ben precise e quando un bambino non le rispetta iniziano le prime paure nei genitori.

Partendo dal presupposto che ogni bambino ha la propria individualità e quindi potrebbe aver bisogno di più tempo per iniziare a parlare vediamo come, in linea di massima, si articola effettivamente l’evoluzione linguistica del bambino e quando bisogna preoccuparsi.

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Qual è il regolare sviluppo del linguaggio?

Lo sviluppo fonologico del bambino si articola attraverso vari step che possiamo schematizzare in questo modo:

  • la prima forma di comunicazione che il neonato sperimenta è il pianto, inizialmente è l’unico modo che ha per interagire e nel primo periodo di vita è collegato soprattutto alla necessità di soddisfare dei bisogni fisiologici.
  • altra forma di comunicazione non verbale, che inizia a svilupparsi sin dai primi giorni, è il sorriso. Inizialmente il sorriso del neonato è un riflesso endogeno che pian piano evolve nel cosiddetto sorriso sociale che è una vera e propria interazione e comunicazione con il mondo esterno e si sviluppa pienamente intorno al III mese.
  • tra il 3° e il 4° mese compaiono i primi gorgoglii e vocalizzi, il bambino inizia a provare piacere nell’ascoltare la propria voce e a padroneggiare un po’ di più i movimenti di coordinazione tra lingua e labbra per iniziare a prepararsi ad articolare le prime parole. E’ bene rispondere alle sue prime “prove di comunicazione verbale” per fargli apprendere meglio il concetto di interazione con gli altri.
  • tra il 4° e l’8° mese inizia quella che è forse la tappa più importante per lo sviluppo linguistico del bambino, la cosiddetta lallazione cioè la ripetizione di sillabe, inizialmente sempre le stesse (es. mammama… papapa….) poi diverse dando la sensazione che stia davvero iniziando a parlare (queste sono dette appunto protoparole). Sembra ormai provato scientificamente che se si mantiene il contatto visivo col bambino in questa fase la lallazione aumenta e assume le caratteristiche di un dialogo anche con le pause come se attendesse dagli altri una risposta.
  • tra il 9° e il 13° mese compaiono solitamente le prime parole di senso compiuto.
  • intorno al 16° mese il vocabolario medio di un bambino è di circa 50 parole riguardanti soprattutto le azioni più comuni, le parti del corpo, i nomi degli animali e degli oggetti di uso quotidiano.
  • tra il 18° e il 20° mese il vocabolario praticamente si triplica e compaiono le prime frasi senso compiuto.
  • infine tra il 24° e il 36° mese (cioè fra i 2 e 3 anni) il bambino acquisisce sempre più proprietà di linguaggio, padroneggia un numero sempre maggiore di parole riuscendo in alcuni casi anche ad accordare soggetto e verbo; è questo il periodo della “esplosione linguistica”.

In queste fasi di sviluppo sembra che le bambine siano leggermente più precoci rispetto ai maschietti della stessa età ma questa differenza tenderà a scomparire nel tempo.

Cosa fare se a 2 anni dice ancora poche parole e come stimolarlo?

Se un bambino di 2 anni ha un vocabolario costituito da meno di 50 parole e si esprime ancora attraverso le cosiddette olofrasi (cioè un’unica parola per esprimere un concetto, ad esempio “pappa” per dire “ho fame”, oppure “voglio mangiare”) molto probabilmente abbiamo a che fare con un late talker (o parlatore tardivo).

Questo non significa necessariamente che ci troviamo di fronte un bambino con un disturbo specifico del linguaggio ma potrebbe trattarsi semplicemente di un bambino che ha bisogno di più tempo i cosiddetti late bloomer (bambini che sbocciano in ritardo nel senso che acquisiscono in ritardo le abilità linguistiche tipiche della loro età) e di qualche accorgimento in più.

E quindi cosa fare in questi casi?

Prima di iniziare a preoccuparsi è possibile mettere in atto tutta una serie di strategie per stimolare il linguaggio, ecco qualche esempio:

  • parlare sempre al bambino mantenendo il contatto visivo e cercare di parlargli spesso da soli in modo che non possa distrarsi con altre voci o rumori (assolutamente NO alla televisione sempre accesa);
  • leggergli spesso dei racconti o delle fiabe, interrompendosi ogni tanto per fargli delle domande e magari guidarlo nella risposta;
  • cantargli spesso delle filastrocche o delle canzoncine facili da ricordare e ripetere;
  • chiamare sempre le cose con il proprio nome evitando di usare quei buffi neologismi (il cosiddetto baby-talk o mammese) che gli rendono più difficile la comprensione e l’espressione verbale quando è con altre persone. Il baby-talk può andare bene nei primi mesi ma andrebbe gradualmente abbandonato per permettere al bambino di acquisire maggiore familiarità con le parole reali;
  • stimolare il bambino a chiedere verbalmente e non tramite i gesti quello che vuole fingendo di non capire perché un bimbo pigro potrebbe cullarsi sulla “comodità” di essere comunque capito;
  • non ridere e “fare le feste” ogni volta che il bambino storpia qualche parola ma cercare dolcemente di correggerlo altrimenti, pur di stimolare l’ilarità di mamma e papà, continuerà a sbagliare pronuncia di proposito;
  • mai far percepire al bambino le proprie ansie e preoccupazioni e mai fare dei paragoni con altri ma cercare di preservare un ambiente sereno e rilassato.

Sono stati messi a punto vari test che consentono di valutare l’entità del ritardo linguistico tra questi sicuramente il più utilizzato nel mondo è il MacArthur-Bates Comunicative Development Inventories, disponibile in 49 lingue, che in italiano diventa Il primo vocabolario del bambino: parole e frasi. Questo test, articolato in due fasi, consente di attribuire un punteggio al bambino che viene correlato all’età in un grafico (paragonabile a quello delle curve di crescita per peso e altezza).  

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Quali sono le cause del ritardo?

Quando si sospetti un ritardo del linguaggio sarà necessario rivolgersi, dopo aver consultato il proprio pediatra, a un centro specializzato per la cura dei disturbi del linguaggio che, grazie alla presenza di una equipe multidisciplinare (otorinolaringoiatra, neuropsichiatra infantile, psicologo e logopedista) potrà guidare  i genitori nell’iter diagnostico più appropriato volto alla ricerca della causa.

Le cause del ritardo sono molteplici e possiamo riassumerle in questo modo:

  • predisposizione biologica del bambino
  • fattori ambientali: maggiore o minore stimolazione da parte dei genitori, presenza di fratelli o sorelle più o meno coetanei, precoce inserimento in ambiente scolastico
  • fattori psicologici o emotivo-relazionali
  • fattori patologici o cause cosiddette organiche quali ipoacusia, lesioni cerebrali, sindromi genetiche, disturbi specifici dell’apprendimento o disturbi dello spettro autistico.

Ognuna di queste cause richiederà ovviamente un approccio diverso e la gestione del problema da parte di uno specialista.

E’ sempre un segnale di autismo o si tratta di paure infondate?

Nei late talker ovviamente la distinzione tra fisiologico e patologico va valutata nel tempo, si è visto che tra i late talker di 24 mesi circa la metà  avrà completamente risolto il problema e recuperato il ritardo a 36 mesi (a 3 anni).

Di quelli che restano la maggior parte recupererà il ritardo intorno ai 48 massimo 60 mesi (4-5 anni), questi sono i late bloomer; solo il 3-5% evolverà in un disturbo specifico dell’apprendimento (DSA) e di questi ultimi solo l’1,5% verrà inquadrato come disturbo dello spettro autistico.

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